MURANO: IL CROMATO REGNO DI CRISTALLO

di Enrico Andreoli

MURANO (VE) – Addentrandosi nella immensa e prospera Laguna della Città del Doge, in direzione nord-est, si approda (lungo il canale dei Marani) in una piacente e variopinta isola, casa madre di botteghe di capolavori, grandi e piccoli, di un’arte secolare e fascinosa come quella vetraria. Essa è Murano. Composta a sua volta da sette isole minori, divise da navigli e rii e collegate tra loro da numerosi ponti, la civitas fa derivare il proprio nome dal latino Amurianum (o Ammurianum), si pensa una porta od un rione della antica città romana di Altino (situata un tempo sulla palus veneta). Qui si ritiene che gli abitanti si siano rifugiati al fine di sfuggire all’invasione degli Unni. Annus domini: 453 d.C. Il primo atto formale che comprova l’esistenza della cittadina (Amuriana) risale all’846. Al tempo l’isola godeva di un certo grado di autonomia, in quanto a livello amministrativo veniva retta da tribuni minori e tribuni maggiori. Questo fino al XII° secolo (esattamente al 1171, quando venne unita al sestiere veneziano di Santa Croce), riconquistando la libertà nel 1275. Da questa data vigeva un Maggior Consiglio (500 membri) e un Minor Consiglio (40 membri), un tesoriere ed un nunzio con il compito di mantenere un continuo contatto con “Piazza San Marco”. Fin qui le iniziali annotazioni storiche, ma occorre srotolare l’excursus secolare di quella magica miscela di sabbia silicea, ossidi e carbonati (che prende oggi il nome di vetro) che si intreccia con il corso degli eventi del luogo, per capire dal profondo l’anima creativa che ha reso questa «ile» nota nei Cinque Continenti la patria dell’eccellente e colorata arte vetraria. Quando cominciò la lavorazione del vetro? Lo storico romano Plinio riferisce che i veri inventori di tale combinazione furono i Fenici. Accendendo un fuoco sulla sabbia, essi si accorsero che la stessa si scioglieva in un liquido trasparente. I primieri c.d. impasti vetrosi si presume che siano comparsi intorno al III° millennio a.C. in Mesopotamia ed Egitto, le quali risultavano essere delle lande ricche di sabbia silicea appunto (come surriferito, la componente più importante). Le originarie tecniche di lavorazione assentivano solo la produzione di oggetti di piccole dimensioni, destinati prevalentemente per usi rituali od ornamentali (in Francia e sempre nella ‘Terra dei Faraoni’). Nel periodo ellenistico, la creazione aumentò, trasformando Alessandria nel centro più importante, la quale verrà soppiantata dalla Penisola italica, dalla Spagna e dalla Gallia in seguito alla conquista ‘nordafricana’ da parte di Roma. Nell’era medievale, Bisanzio, divenne il nuovo fulcro dell’arte silicea, portandola ad un alto grado di sviluppo per ben 500 anni. La ‘pria’ testimonianza della manifattura del vetro a Murano risale al 982 d.C. (anche se recenti scavi archeologici hanno riportato alla luce frammenti, attestanti la presenza della attività già a partire dal VII° secolo, anche sull’isola di Torcello). L’anno spartiacque per la realtà lagunare fu il 1291. Allora il Maggior Consiglio di Venezia proibì il trattamento del cristallo nella Città per ragioni di sicurezza (pericoli di incendi e inquinamento), difatti le abitazioni erano costruite in gran parte in Laguna. Ciò fu la fortuna di Murano. Qui furono trasferite le fornaci (con la massima concentrazione nel Rio dei Vetri), garantendo ai prodotti ‘insulari’ rinomanza mondiale – con esportazioni in Francia, Gran Bretagna, Fiandre, Nord Europa e Mediterraneo orientale). Avendo attirato i migliori artisti vetrai del globo, vennero adottate le prime misure ‘protezionistiche’: si imponeva, invero, ai maestri che lasciavano la città di non poter essere più riammessi all’Arte, una volta rientrati. Si denegava inoltre la fuoriuscita di qualsiasi strumento o prodotto necessario al procedimento lavorativo. La metà del XV° secolo (esattamente nel 1450) registrò un salto di qualità ed un consolidamento nell’arte. Angelo Barovier (appartenente ad una antichissima famiglia muranese) comprese che le materie prime rendevano il vetro opaco. Inventò così una procedura complessa di depurazione per ottenerne uno purissimo, il vetro “soffiato”, cristallino, perfettamente incolore e trasparente. Ed è quello che rende oggi famosa la cittadina. Nei secoli successivi si vide accrescere la celebrità dell’isola, la quale divenne ben presto meta vacanziera rinomata per le famiglie patrizie veneziane, le quali qui edificarono ville sontuose e ricchi giardini (punti di ritrovo per artisti e letterati). Furono altresì costituite accademie frequentate da personalità illustri (come Pietro Bembo, Giovanni Della Casa o Aldo Manuzio). Il Cinquecento vide le esportazioni raggiungere anche la Turchia e il Nuovo Mondo, mentre le forme divenivano sempre più complesse e perfezionate (con soffitti sottili e purissimi, le fogge essenziali e leggere) fino a trasformarsi in autentici prodotti elitari. Il paradigma più palese è rappresentato dal vaso “Veronese” (così denominato in quanto tratteggiato da Paolo Caliari nella ‘Annunciazione’). Il Seicento fu un periodo di “parziale” crisi (dovuta principalmente alla peste che colpì Venezia, alle lotte con gli altri Stati regionali e potenze europee) accodata da quella del secolo seguente, il quale vedrà prima l’occupazione (nel 1797) delle truppe napoleoniche e poi di quelle dell’Impero Austroungarico (imponendo ai prodotti muranesi pesanti dazi doganali, per avvantaggiare i cristalli austriaci, i quali in congiunzione con quelli di Boemia ed inglesi – a causa degli artisti ‘transfughi’ – concorrevano con la realtà lagunare). La produzione viene quasi totalmente interrotta, lasciando aperta qualche officina. Solo in seguito alla Terza Guerra di Indipendenza (1866 con l’annessione del Veneto al nascente Regno d’Italia) inizia un momento di rinascita. Grazie a figure come l’abate Vincenzo Zanetti e al Sindaco Antonio Colleoni (cofondatori nel 1862 del Museo del Vetro) si incipiò una vera valorizzazione della cultura vetraia, attraverso la fondazione di aziende storiche (Fratelli Toso e Salviotti) e scuole per la formazione di futuri maestri vetrai (come la famiglia Seguso). Nel 1864 venne allestita anche la Prima Esposizione Vetraria Muranese. Con il XX° secolo infine i maestri vetrai (creatori nei secoli del “reticello” dell’avventurino, del “a ghiaccio” e del “Millefiori”) cominciarono a collaborare con altre figure (designers, scultori, direttori artistici) professionali nella ideazione e creazione, attirando così grandi personalità come Calder, Moore, Fontana, Guttuso e Le Corbousier e decretandone il successo immortale. Dopo la historia del cristallo scopriamo più da vicino come prende vita la sua lavorazione ed in particolare nelle acque muranesi. Come antedetto il vetro si ottiene dalla silice ed è considerato un liquido ad alta viscosità (non un solido); preparato per fusione di miscele di silice (quarzo e sabbia) e carbonati metallici (sodio, potassio, calcio, piombo). Dalla reazione si formano i silicati metallici, da cui il vetro (vetro comune, il cristallo incolore, i vetri per termometri, i vetri di quarzo). Al fine di ottenere vetri colorati vengono aggiunte piccole quantità di ossidi metallici: di ferro per il verde, di cobalto per l’azzurro, di oro colloidale o di rame per il rosso, di stagno per i vetri lattei. La fusione avviene poi in crogioli di alluminio molto resistenti al calore, scaldati in forni elettrici o a gas. Dalla fornace viene tolto il crogiolo, dove si prepara la pasta vitrea. Da questa il ‘maestro’ preleva con l’estremità di una canna da soffio la quantità di materiale (ancora rovente ed incandescente) che ritiene necessario, in genere una grossa goccia definita “bolo”. Successivamente con una serie di veloci operazioni, soffiando nel tubo mentre contemporaneamente lo fa ruotare, modella l’oggetto che vuole ottenere, coadiuvandosi con pinze e forbici, passate dal garzone-apprendista. Durante la procedura la pasta vitrea si raffredda e solidifica e l’oggetto viene riscaldato nella fornace per una modellazione agevole. Sempre in base alla ‘improvvisazione’ degli artigiani (che nell’isola veneziana sovente concedono pubbliche dimostrazioni). Ecco la “soffiatura” del vetro, la tecnica più nota. Con particolare addentramento nei dettagli è doveroso rammentare che il prodotto veneziano è sodico, come nell’antica tradizione mediterranea. Difatti la soda viene aggiunta alla silice per giungere alla fusione a temperature minori. La miscelazione delle materie prime avviene la sera (alla fine dell’orario di lavoro) e la preparazione tutta la notte. Alle due materie prime fondamentali vengono aggiunti lo stabilizzante (carbonato di calcio), i decoloranti o i coloranti ed eventualmente gli opacizzanti. Il forno a riverbero fonde le sostanze allo stato termico di circa 1.400 gradi; al mattino il materiale è fuso per la modellazione. Il gruppo di lavoro è costituito dalla “piazza”, composta da serventi e garzoni, coordinata dal “mastro”. L’opera può venire poi rifinita a freddo da esperti molatori, i quali procedono alla levigatura e ad altre rifiniture. L’incisione figurativa viene poi eseguita in laboratori indipendenti, all’interno dei quali operano decoratori specializzati. Ma quali sono le ultronee tecniche oltre alla soffiatura (risalente al I° secolo sulle coste orientali dell’ex Mare Nostrum)? Elenchiamole pedissequamente. Incisione. Applicata su cristallo incolore o lievemente colorato in due modalità: graffito a punta di diamante e incisione a rotina. Lampadari di cristallo a bracci portacandela con elementi in vetro soffiato e decorato da fiori vitrei multicolori e da elementi pendenti (risalenza XVIII° secolo). Perle vitree come le contiere, vale a dire perline arrotondate o a spigolo vivo, ottenute sezionando tubicini forati tirati in fornace. La cosiddetta lavorazione a lume, nella quale una canna vitrea non forata viene ammorbidita dal calore del fuoco che fuoriesce da un cannello ed in seguito avvolta intorno ad un tubicino metallico in modo da conferire alla perla la forma desiderata e poi decorata con vetro policromo. Murrina (antichissima), id est la fusione al calore del forno di tessere monocrome o di sezioni di canna vitrea policroma secondo un disegno previsto, così da ottenere un tessuto vitreo coloratissimo. Da non dimenticare infine la scultura, la cristalleria, gli specchi (lastree vitree ottenute aprendo un cilindro soffiato) e la decorazione a smalto (una pittura ornamentale eseguita con un materiale formato con i medesimi componenti della parete vitrea su cui viene applicata). Tradizioni islamiche e bizantine tramandate che hanno reso l’arte vetraia veneziana la più nobile e umile al tempo stesso (grazie alla solerte maestria degli artefici), che affonda le proprie radici nella decisa volontà di esaltare la duttilità del vetro, sempre considerando che ciascun pezzo, frutto di attente e laboriose arti, è unico, senza ausilio di stampi o qualsivoglia attrezzatura (ma con pochi e semplici attrezzi in ferro). La Repubblica di Venezia sovente introdusse riconoscimenti artistici per i maestri che introducevano novità nella lavorazione del vetro, proteggendo le importanti innovazioni dell’epoca, come la filigrana a ritortoli o la filigrana a reticello. I c.d. “privilegi” assegnati avevano una scadenza temporale, al termine della quale le abilità potevano venire utilizzate da tutte le botteghe vetrarie. Nel 1605 venne inoltre redatto il “Libro d’Oro” (onde evitare ‘emigrazioni artistiche’) contenente i nomi degli appartenenti alla Magnifica Comunità di Murano, da allora noti come la “nobiltà vetraria” insulare. Attraversa i secoli orgogliosa e protettiva l’isola dove “soffia” una docile e leggera brezza artistica dalle botteghe dei maestri vetrai che nei loro laboratori con perizia e abilità straordinarie danno vita ad oggetti colorati e “vivi” i quali con la loro eccezionale fattura e forme ammalianti sempre più immortalano la bellezza longeva e inattaccabile della Città più Bella del Mondo. Indi, da Ponte del Rialto o da Piazza San Marco imbarcatevi (carichi di curiosa speranza) e giungete sopra le istoriche acque lagunari nell’isola che racchiude i segreti di ultra decenni di destrezza e valentia umana e che rendono hoc die questo angolo di mondo un rifugio di beltà indimenticabile. Benvenuti a Murano, il Regno Cromato di Cristallo.

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