LA PRELIBATEZZA BIANCA E VERDE DI VERONA

di Wally Massimo

Germoglio è il significato dell’antico persiano “asparag” che diventa “aspharagus” in greco e giunge a noi come “asparagus officinalis” o più semplicemente asparago. Si tratta di una pianta appartenente alla famiglia delle liliacee, come l’aglio e la cipolla. Sembra che questa deliziosa presenza sulle nostre tavole arrivi dalla Mesopotamia, dove secondo alcuni studiosi, si trovava il “paradiso terrestre”. L’asparago dalla Mesopotamia si sarebbe poi, in epoche antiche, diffuso anche nelle regioni temperate. Ci sono prove che fosse conosciuto in Egitto e che da lì si fosse diffuso in tutto il mediterraneo. Allora era usato perlopiù per le sue qualità medicamentose e terapeutiche, ma piano piano si iniziò a farne uso in cucina, raccogliendo successi e onori fino ad arrivare ai nostri giorni. Già nel 200 a.C. i Romani avevano dei manuali in cui ne descrivevano minuziosamente la coltivazione. L’asparago fu citato da Teofrasto, Catone, Plinio il Vecchio e Apicio; gli ultimi due oltre che la coltivazione ne descrissero anche la preparazione. La produzione di “turioni”, questo è il nome tecnico dei getti primaverili, avviene nei mesi di aprile e maggio, con sconfinamenti a fine marzo o inizio giugno a seconda delle condizioni climatiche. Fino a non molti decenni fa il suo consumo era destinato prevalentemente al mercato locale. Dalla seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso è iniziata l’esportazione che negli anni successivi crebbe esponenzialmente. Tra gli anni Settanta e Ottanta si iniziò a coltivare gli asparagi anche in ambiente protetto. Ora la produzione veronese è pari al 70 per cento della produzione del Veneto e al 10 per cento di quella nazionale. La differenza tra l’asparago bianco e quello verde sta semplicemente nel fatto che viene coltivato forzatamente in assenza di luce, mentre quello verde è soggetto alla fotosintesi clorofilliana, essendo coltivato in pieno campo. Sembra che gli asparagi bianchi siano stati scoperti per caso quando, durante un momento non meglio specificato del Cinquecento, ci fu una violenta grandinata in Veneto che distrusse le punte degli asparagi che erano fuoriuscite dal terreno e i contadini quindi furono costretti a mangiarne solo la parte rimanente che era rimasta intatta sotto terra e non aveva assunto la colorazione verde o violetta. L’asparago così raccolto aveva un sapore più dolce e delicato e così in Veneto e nelle regioni confinanti si iniziò a coltivarlo così, in terreni predisposti in modo che le punte non fuoriuscissero e quindi non venissero a contatto con la luce del sole. Le zone più vocate del veronese, per questa coltura, sono a nord la zona di Rivoli e a sud la rinomata zona di Arcole, seguita da Zevio, Belfiore, Oppeano, Veronella e Cologna Veneta (da citare anche il gustosissimo asparago della Mambrotta). Balza subito agli occhi che tutte queste località sono state bagnate dal fiume Adige prima del 17 ottobre del 589 quando, a causa di disatrose alluvioni avvenne la disalveazione dell’Adige, passata alla storia come la “rotta della Cucca” (Veronella). Da quel momento il fiume deviò per sempre il suo corso verso Legnago, lasciando però un terreno sabbioso ideale per la coltivazione di questo ortaggio, abbinato anche a condizioni climatiche ideali. Prova di ciò sta nel fatto che prima di allora il fiume Adige (Athesis in latino) prese il nome dall’allora “città” di Este (Ateste) poiché il fiume dopo aver bagnato Verona si divideva in due rami e uno di questi deviava verso est bagnando Arcole e Cologna Veneta, in provincia di Verona e Montagnana, Este e Monselice in provincia di Padova, per poi sfociare in mare non molto a sud di Chioggia. Di ciò parla anche Plinio il Vecchio nel suo “Naturalis Historia”. Anche Paolo Diacono nella sua “Historia langobardorum” parla dei cataclismi di quell’epoca. Nell’area di Veronella i conti Sarego già nel XVI secolo ne avevano iniziato una significativa produzione non solo per uso familiare, ma anche come mezzo di relazione, tramite doni, con altre casate veronesi e corti d’Italia. Inoltre, proprio per le zone di Arcole e Veronella, abbiamo le attestazioni più antiche consegnate alla storia nel giudizio di Adriano Valerini che, nelle “Bellezze di Verona” (1586) dice: “Chi negherà che gli sparesi non siano i migliori e i più belli di tutti gli altri? Questo già nella villa d’Arcole teneva il principato; oggi in molti altri lochi vengono lunghissimi e grossi più di quelli della Cagnola di Milano”. La preparazione ideale, e più tradizionale, è con cottura in pentole strette e alte, in modo che la base dello stelo sia cotta in acqua, mentre le punte, fuori dall’acqua, a vapore. I tempi di cottura vanno dai 12 ai 18 minuti, a seconda della grossezza e della tipologia (verde o bianca). Gli asparagi così preparati vengono abbinati a uova sode e il tutto viene condito con olio sale e pepe. Per quanto riguarda il primo piatto il suo impiego più diffuso è invece nel risotto, preparato indifferentemente con asparagi bianchi o verdi e con il riso vialone nano (tipico delle risaie veronesi).

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